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28 gennaio 2016

Alla scoperta della Putizza





Quando vidi che AIFB propose la Giornata Nazionale della Putizza mi ci fiondai senza pensare che mi avrebbe dato tanto filo da torcere. Purtroppo, nel momento in cui decido di fare una ricetta, devo avere il massimo delle informazioni, possibili ed immaginabili, devo avere un margine di errore molto ma molto basso, se non ci fosse ancora meglio.

Tutto era perfetto, preparo il lievitino lo metto a riposare... preparo la pasta lievita, ma...  ESSA... per motivi a me sconosciuti (solo successivamente ho capito il perchè...) non ha lievitato.
Già qui, chi mi conosce sa, che non accetto di sbagliare.

Ripartono le ricerche su libri, internet e chi più ne ha ne metta... alla fine decido di chiedere consiglio ed aiuto a Marina Bogdanovic e a Fausta Lavagna... che in un momento di sconforto mi hanno rissolevato il morale. Fausta senza di te non ce l'avrei fatta!!! Grazieeeee

Voi direte Putizza?! Cos'è la Putizza?!

La Putizza è un dolce originario dell'Impero Austroungarico, si narra che fosse stato presentato per la prima volta in occasione di una festa data al castello di Miramare, a Trieste, già nel 1864 dal principe Massimiliano e Carlotta.
Ricette per la preparazione della Putizza sono riportate nel Manuale di cucina di Katharina Prato, edito per la prima volta in lingua tedesca a Graz nel 1892.
Infine, il prof. Kuhar, in occasione del convegno “Le Cucine della Memoria-Dal Tiepolo all’età Teresiana” (Udine, 1996), ha ricordato l’origine slovena del dolce risalente al Medioevo e già descritta nei ricettari della borghesia viennese nel XVIII secolo: il nome sarebbe derivante dal termine potica, o meglio dal verbo poviti, ovvero avvolgere, arrotolare ed è ancora una volta specchio della complessità etnica e storica del territorio.

La Putizza si distingue dagli altri dolci della tradizione triestina per un carattere e un sapore più familiari. La sua caratteristica e grande raffinatezza, risiedono nella ricchezza degli ingredienti del suo ripieno e nella formazione del dolce che viene arrotolato unitamente alla pasta formando un insieme soffice e profumato. Una rollata ripiena di noci, uvetta e pinoli, pasta lievitata e un ripieno, simile a quello della «gubana» friulana anche nella forma, arricchito, da rhum e vino di Cipro ed in alcune ricette anche di spezie come cannella, noce moscata e chiodi di garofano.





Ora la ricetta.

INGREDIENTI PER LA PASTA LIEVITATA:

150+350 gr di farina;
1 uovo intero;
2 tuorli d'uovo;
60 gr di burro;
100 gr di zucchero;
150 ml di latte;
15 gr di lievito di birra fresco;
la scorza di due arance bio
un pizzico di sale.

INGREDIENTI PER IL RIPIENO:

50 gr di burro;
60 gr noci:
60 gr nocciole;
60 gr uvetta;
50 gr di biscotti sbricciolati;
60 gr cioccolato fondente;
50 gr zucchero;
buccia di 1 arancia (facoltativo);
2 cucchiai di miele fluido;
1 bicchierino scarso di rum;
2/3 cucchiai di latte.

PROCEDIMENTO:

Per prima cosa facciamo una sorta di lievitino che deve restare molto morbido, con  150 gr di farina, 150 ml di latte intero e 15 gr di lievito di birra fresco. Il tutto deve sembrare un pastella. Coprite e lasciate lievitare fino al raddoppio (circa 1 ora). Mettete nella ciotola dell'impastatrice, con il gancio, il lievitino 1 tuorlo, 1/3 della farina e 1/3 dello zucchero, quando l'impasto avrà assorbito gli ingredienti continuare fino a terminare le uova, lo zucchero e la farina. Per ultimo aggiungete il burro, morbido a pezzetti, il sale e la buccia grattugiata delle arance bio. Impastate il tutto finché sarà incordato e liscio. Mettete ora l'impasto sulla spianatoia lavoratelo con le mani e fate una palla, che metterete a lievitare in una terrina, ricoperta con la pellicola. Riponete in un luogo caldo e fate lievitare fino al raddoppio.

Nel frattempo preparate il ripieno. Mettete l'uvetta in ammollo (io nell'acqua), sciogliete il cioccolato a bagnomaria e tritate la frutta secca. In una padella antiaderente, tostate le briciole dei biscotti e successivamente aggiungete il burro. Riponete tutto all'interno di una ciotola ed aggiungete gli altri ingredienti, vi risulterà un composto morbido da poter stendere sul vostro impasto.

Quando l'impasto sarò raddoppiato, adagiatelo sulla spianatoia e fatene un rettangolo dove andrete a spalmare la crema di frutta secca e cioccolato. Arrotolate ed andate a formare la classica forma a chiocciola. Riponete, ora, nuovamente in un luogo caldo a far lievitare. Dopo circa 2 ore, prendete la chiocciola di pasta lievitata, spennellatela con l'albume d'uovo e mettete in forno, preriscaldato, a 180° e portare a cottura.

A cottura ultimata lasciate raffreddare sopra una gratella.

Alcuni consigli:
- io ho fatto una sola chiocciola, ma con il senno di poi, vi consiglio di farne 2;
- fate lievitare per bene la chiocciola, in seconda lievitazione, vi eviterete le crepe e il distacco che vedete nelle mie foto;
- solo per un fatto estetico io ho spolverato con dello zucchero di canna;
- se lo portate in ufficio, sicuramente verrà spazzolato!!!

Grazie, Marianna.



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26 gennaio 2016

Bigoi in salsa




Per il Calendario del Cibo Italiano  AIFB oggi è la giornata nazionale dei Bigoli in Salsa, ambasciatrice Lara Bianchini.

Prima di tutto un po' di storia

I Bigoli sono grossi spaghetti della tradizione veneta. Oltre che per il calibro, differiscono dai comuni spaghetti perché sono di pasta fresca e di farina di grano tenero, bianca o integrale.
Per farli in casa è necessario lo speciale torchio, il “bigolaro”.





Questo “bigolaro” risale agli inizi del 1900 circa.
In quegli anni i contadini e la maggior parte della popolazione non erano molto ricchi, perciò, per nutrirsi, adoperavano questo oggetto singolare diffuso soprattutto nella parte nord-est della penisola italiana.
Il bigolaro serviva per trafilare un impasto molto semplice ma nutritivo che veniva usato per sostituire quello delle lasagne nella cui ricetta erano presenti le uova, alimento molto costoso e perciò poco usato. In realtà in campagna le uova non mancavano, ma, proprio perché costose, venivano immediatamente vendute alle botteghe di alimentari.
La ricetta dell’impasto era: 500 g di farina, acqua quanto bastava e un pizzico di sale.
Questo impasto si presentava molto omogeneo e consistente.
Il bigolaro, prima dell’uso, veniva bloccato ad una tavola di legno con due rientranze per fissarla alla tavola.
Un altro tipo, è invece fissato ad una specie di treppiede di legno su cui ci si sedeva per tenerlo fermo mentre si “menava torno”, cioè si trafilava l’impasto.



Prima si sceglieva e si inseriva la piastra desiderata. Le varie forme permettevano di ottenere spaghetti, bigoli, e bucatini.
Tutte le forme cave erano naturalmente aperte da un lato perché il ferro che trafilava lasciasse uscire i vari tipi di pasta.
L’impasto veniva inserito nel tronco centrale un po’ alla volta inclinando lo stantuffo per permettere l’accesso al cilindro. Poi si cominciava a trafilare avvitando il manico in modo da spingere l’impasto attraverso le filiere. Al termine del processo bisognava, con tanta pazienza, svitare tutto il tronco per permettere la ripetizione della procedura.
I “bigoli”, una volta fatti, venivano messi ad essiccare a cavallo di canne di bambù appese a mezz’aria, le cosiddette “perteghe” o “perteghele” (pertiche).
Questa pasta veniva fatta una volta la settimana e ne venivano fatti molti affinché durassero un periodo di tempo di sette giorni. Venivano cucinati in acqua bollente.

Ecco come Slow Food sul Dizionario delle cucine Regionali Italiane definisce il bigolaro, bigoli e i bigoli in salsa.



Nella ricetta originale sono preparati con grano tenero, acqua e sale.

La principale caratteristica di questa pasta è la sua ruvidità, che le consente di trattenere sughi e condimenti; questa sua peculiarità le viene donata dal tipo di preparazione a trafila che impiega torchi a forma tradizionale e originariamente azionato a mano. Si chiamano comunque bigoli anche quelli di sezione quadrangolare creati con l'apposito rullo, azionato sia a manovella sia con motore elettrico.

Esistono alcune varianti di questa pasta che si ottengono variando il tipo di farina (usando la farina saracena si ottengono i bigoli scuri o, meglio, "bigoli mori", specialità di Bassano del Grappa e area circostante) o aggiungendo l'uovo nell'impasto.

Un tempo erano il piatto delle vigilie (24 dicembre, mercoledì delle Ceneri, venerdì di Pasqua, ecc..), cioè nei giorni in cui la religione cattolica imponeva astinenza e digiuno o di mangiare di magro, cioè senza carne. 
I bigoli vengono conditi con sughi tradizionali, in particolare con ragù d'anatra, "bigoli co l'arna" in veneto, un normale ragù di carne, ovviamente di anatra, con o senza salsa di pomodoro, o serviti in salsa, stavolta con la classica salsa di pomodoro italiana, arricchita eventualmente con qualsiasi altro ingrediente acconcio, o con le sardine o sardelle (bigoli co le sardele).
In realtà preferibile alla sardina è l'acciuga, che comunque in veneto può essere chiamata anch'essa "sardela", dal gusto più delicato e con decisamente minore sentore di sentina della sardina. Contrariamente agli altri condimenti di pesce, accetta abbastanza bene i formaggi come il grana, il parmigiano o l'asiago stagionato, anche se l'ottima scelta sarebbe il pangrattato saltato nel burro, insaporito con alloro, rosmarino e timo. Sale q.b., come sempre.

Ogni anno l'ultima settimana di aprile si tiene a Limena la cosiddetta "festa dei bigoi al torcio". Tutti i sabati e le domeniche di maggio si tiene la festa dei bigoli a Rovolon, in località Carbonara. Il terzo fine settimana di maggio e ad agosto durante San Bartolomeo si tiene la festa dei bigoli anche ad Abano Terme in località Monterosso. I bigoli di Monterosso, hanno ottenuto nel 2014 la denominazione comunale (de.co) marchio di garanzia in materia di valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali. Altra sagra rinomata è quella dei "Bigoi de Bassan" di Bassano del Grappa (VI) che si tiene tutti gli anni nel quartiere Ca'Baroncello nel fine settimana della prima settimana di settembre.

Questo è un piatto incluso nel P.A.T.I prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) sono prodotti inclusi in un apposito elenco, predisposto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con la collaborazione delle Regioni.


Nella mia famiglia mangiavamo i bigoli il giorno di Natale, il compito di prepararli era assegnato a due dei miei zii materni che pazientemente si mettevano a "menare el torcio" per preparare la giusta quantità per il pranzo natalizio.

Il mio compito era quello di tagliare i bigoli quando scendevano dalla filiera alla misura giusta.
Supervisore delle operazioni naturalmente mia nonna materna...e chi altri altrimenti ?

Ora putroppo questo stupendo strumento a casa mia non c'è più.
Ma la giornate a prepararli resterà sempre uno dei miei ricordi più cari.

Nella versione di mia nonna non usiamo il parmigiano, usiamo del pane grattuggiato tostato in padella con del burro fuso.




Ingredienti per 4 persone
400 gr di Bigoli al torchio
70 gr di acciughe o sardelle sotto sale
200 gr di cipolle bianche di Chioggia
1/2 bicchiere di olio evo
sale e pepe




Procedimento
Eliminare la lisca dalle acciughe, lavatele con cura sotto l'acqua corrente, e dopo averle asciugate, tritalete.
Mondate le cipolle e tagliatele a fette sottili. Mettetele in una padella con la metà dell'olio e fatele dorare.
Aggiungete alcuni cucchiai di acqua, coprite con un coperchio e fate cuocere a fuoco basso fino a che le cipolle non saranno morbide e trasparenti.
Nel frattempo in una pentola capiente fate bollire l'acqua e salatela con moderazione.
Aggiungete i bigoli e portateli a cottura.
Quando sono cotte, unite alle cipolle le acciughe tritate e fatele rosolare per un paio di minuti, schiacciandole con una forchetta. Togliete la padella dal fuoco e versatevi l'olio rimasto.
Appena i bigoli sono pronti, conditeli con la salsa di acciughe e un pizzico di pepe.
In una padella mettere una noce di burro e del pane grattuggiato e portatelo a tostatura fino a quando sarà bello croccante.
Spolverare gli spaghetti con il pane tostato.



Fonti:
Wikipedia
A Tavola con i Dogi - Storia con ricette della grande cucina veneziana
Dizionario delle Cucine Regionali Italiane - Slowfood



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25 gennaio 2016

Un pranzo dal sentore ebraico...


Per il Calendario del Cibo Italiano di AIFB, questa settimana è dedicata alla Cucina Ebraica.

Madrina è la nostra Presidente Anna Maria Pellegrino, qui il suo articolo.

Quando si parla di cucina ebraica ci si riferisce ad un insieme di piatti tipici che derivano dalla tradizione ebraica. Gli ebrei, dall'epoca delle persecuzioni romane e della diaspora (135 d. C.) fino al ritorno in Israele dopo la Seconda Guerra Mondiale (1948), non hanno avuto una loro "sede", bensì si sono diffusi in tutto il mondo portando con sé le loro tradizioni, compresa la cultura gastronomica.

La Torah (un insieme di regole comportamentali per gli ebrei) stabilisce le linee da seguire anche a livello gastronomico attraverso la Kasherut. Moltissimi sono i dettami della Kasherut che riguardano l'origine e la natura del cibo.

LA CUCINA EBRAICA DEL GHETTO DI VENEZIA

Il Senato assegna loro dei fondaci, luoghi dove possono risiedere, ricoverare le merci e dove possono vivere, pregare e mangiare secondo le loro tradizioni. Le abitudini culinarie di queste comunità fanno parte della storia della città, e sebbene alcune sono rimaste circoscritte al loro ambiente d'appartenenza, con altre si è stabilito un solido legame con la cucina veneta.

Il Ghetto di Venezia è un'isola circondata da ogni parte dall'acqua. Nel grande campo, chiuso dalle sinagoghe camuffate da abitazioni e dalle altissime case-torri, si respira immediatamente un'atmosfera quasi confessionale.

Nel Ghetto Nuovo, per decisione del Senato, dal 1516 convivono gli ebrei tedeschi e gli ebrei italiani. 

Successivamente arrivarono, i levantini, accolti nel Ghetto Vecchio nel 1541, e per ultimi i ponentini o spagnoli, ammessi nel 1589 ma nel Ghetto Nuovissimo solo dal 1633.

Nei primi tempi, ogni comunità mantiene le proprie usanze gastronomiche, quindi la cucina ebraica in laguna nasce multietnica, con caratteristiche diverse tra sefarditi, ashkenaziti e italiani: la sobrietà e la semplicità della tradizione spagnola si contrappongono al gusto tedesco-orientale, mentre scarso rimane l'apporto della cucina del nucleo italiano.

Intorno al 1654, nel momento della massima espansione, il Ghetto è un'area urbana ricca di luoghi di lavoro e di punti vendita distinti per i tedeschi e per i levantini: ci sono rivenditori di tabacco, di candele di cera, botteghe di frutta e verdure, di vino, di carne, di formaggi, di pasta, d'olio e d'altri cibi consueti.

Anche se sono costretti a pagare la Serenissima "per il vitto", gli ebrei di Venezia hanno potuto contare nei secoli su un fiorente mercato di prodotti Kasher (cibo permesso). Le paste dolci e la tonnina arrivavano dalla Spagna, le olive da Corfù, i tagliolini, vermicelli, maccaroni secchi e stagionati venivano dalla Puglia, il vino Malvasiada da Candia.

Le limitazioni sui formaggi sono notevoli. I caci devono essere fatti con caglio vegetale onde evitare la commistione proibita di carne e latte, che si verifica qualora si usi caglio di origine animale.

La cucina del ghetto veneziano è una fusion di elementi arabi, importati dai sefarditi attraverso la Spagna, e di piatti di origine germanica, arrivati con gli ashkenaziti.

Tra le verdure, nella cucina ebraica primeggiano la zucca gialla a collo lungo preparata in agrodolce o in purè (zuca baruca), i finocchi, i cavoli, gli spinaci e la versatile melanzana. Gli odori più graditi sono l'aneto, la menta, la maggiorana, il prezzemolo e la ruta. Non mancano il riso e i legumi come la fava, i fagioli, i ceci, i lupini e i piselli. Sono molto apprezzati i cocomeri, i cetrioli e l'indivia.

Per quanto riguarda la carne, qui le cose si fanno più complicate. Nel Pentateuco è scritto chiaramente: proibite le carni di cammello, cavallo, lepre e coniglio. Al bando anche le bestie carnivore ed erbivore prive dello zoccolo ripartito, mentre per i volatili la proibizione cade sulle carni dei rapaci, sugli uccelli acquatici come cigni e pellicani e gli struzzi.
Per quanto riguarda i pesci, vengono esclusi quelli senza spine e squame, i mitili, le cozze e le aragoste.

Per la cucina ebraica l'oca è l'equivalente per la cucina cristiana. Il suo grasso diventa un valido sostituto dello strutto e del più costoso olio di oliva, con la sua carne si ricavano salsicce, salami, luganeghe e prosciutti.

Insomma secoli di convivenza hanno prodotto una sorta di mix veneto-ebraico.




Le ricette che ho deciso di proporvi sono Hummus di ceci e Tahina, Matzah o pane azzimo e Tzimmes.


HUMMUS DI CECI E TAHINA

Ingredienti:
220 g di ceci già lessati e scolati;
3 cucchiai di tahina
succo di 1 limone;
2 spicchi di aglio, già schiacciati;
1/2 cucchiaino di sale;
2 cucchiai di olio extravergine di oliva;
acqua di cottura dei ceci;
prezzemolo e paprika dolce per guarnire.

Preparazione:
Dopo aver lessati i ceci con gli odori, scolateli e privateli della buccia.
Mettete nel mixer i ceci lessati, unendo la tahina*(io l'ho trovata al supermercato), l'aglio già schiacciato, olio e il succo del limone, aggiustate di sale e mescolate per bene.

L'Hummus deve risultare denso, ma senza pezzi, dunque potete aggiungere un po' di acqua di cottura dei ceci (io circa 5 cucchiai).

Servite l'Hummus con dei ciuffi di prezzemolo e una spolverata di paprika dolce.


MATZAH (pane azzimo)
Ringrazio Anna Maria Pellegrino per la ricetta

Ingredienti:
400 g di farina 00;
200 ml di acqua a temperatura ambiente, circa;
3 cucchiai di olio evo;
1 cucchiaino di sale.

Preparazione:
Setacciare la farina con il sale e mettere dentro la ciotola della planetaria, avviate con il gancio e aggiungete l'acqua un pò alla volta. Quando l'impasto sarà liscio ed omogeneo mettetelo in una ciotola di vetro unta d'olio e lasciatelo riposare per 1 ora.
Accendete il forno a 220° statico.
Dividere l'impasto in 8 parti uguali, stendere ogni parte in una sfoglia sottile, non più di 5 mm (perderebbe la croccantezza), forate la superficie con uno stuzzicadenti, in modo omogeneo, formando il caratteristico decoro, sia in verticale che in orizzontale, spennellate la superficie con l'olio evo e cuocere per circa 10 minuti. Girare proseguire la cottura per altri 10 minuti.
Sfornate e lasciate raffreddare sopra una gratella.




TZIMMES

Ingredienti:
500 gr di carote;
2 mele;
2 patate;
200 gr di zucca;
200 gr di cavolini di Bruxelles;
60 gr di uvetta, precedentemente ammollata;
60 gr di albicocche secche;
1 cucchiaio di miele;
1 cucchiaino di cannella in polvere;
scorza e succo di 1 arancia bio;
50 ml di acqua;
un filo d'olio.

Procedimento:
Scaldate il forno a 180°. Sbucciate e tagliate la frutta e la verdura, cercando di ottenere pezzetti della stessa misura o almeno il più possibile.
Ungete un pirofila con un filo d'olio, mescolate tutti gli ingredienti, ponendo attenzione a distribuire bene tutte le spezie.
Mettete in forno e fate cuocere fino a cottura, circa 50-60 minuti.
Servite come contorno.

Buon Appettito, Marianna.







Fonti:
Anna Maria Pellegrino
Labna - Internet
Venezia in Cucina di Carla Coco - Editori Laterza

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23 gennaio 2016

Giornata Nazionale delle Sarde in Saor



23 Gennaio 2016
Giornata Nazionale delle Sarde in Saor
Settimana degli Agrumi


L'AIFB mi ha dato la possibilità di fare questo meraviglioso approffondimento, la storia di un piatto che per noi veneti è un must, le Sarde in Saor.

Per capire i molti aspetti e le peculiarità di questa ricetta, che all'apparenza può sembrare semplice, sono partita con mia figlia Elena, per Venezia, ho chiaccherato con i pescatori e ho deliziato il mio palato con questa prelibatezza presso il Ristorante Vecio Fritolin. Lo Chef mi ha raccontato meticolosamente come prerare questo piatto, il connubio di tutti i suoi ingredienti e come bilanciare i suoi sapori.

Ringrazio, la titolare, la Sig.ra Irina per la sua ospitalità, una donna meravigliosa. 

Ringrazio, inoltre, lo chef Daniele per la sua infinita disponibilità.





Andate a leggere e poi provate questo piatto, fortemente legato alla nostra tradizione, non ve ne pentirete.

Buona lettura.

Marianna.


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Sarde in Saor a modo mio


Oggi si celebra la giornata nazionale delle Sarde in Saor, ambasciatrice è Marianna Bonello.
Mi direte una giornata nazionale delle sarde in saor non si può sentire e poi di che cavolo stai parlando?
Per chi di voi ancora non sapesse cos'è vi invito a leggere questo post che vi spiegherà cos'è il Calendario del Cibo Italiano, progetto che stiamo portando avanti con i foodblogger di AIFB.

Ma ora veniamo a noi, le Sarde in Saor, sono una pietra miliare della cucina veneta, il post di Marianna vi spiega tutto.

La parte più divertente di questa ricetta è andare al mercato del pesce a Chioggia o a Venezia, respirare l'atmosfera e parlare con i pescivendoli, è veramente troppo affascinante.

Quando ho deciso di aderire a questa giornata ho pensato, non proprio facile, è una ricetta tradizionale non è possibile stravolgerla, fa parte della nostra cultura.
Allora penso che ci ripenso, insomma dopo una notte insonne (avevo mangiato frittura di pesce, era come dire un po' strong la digestione) ho pensato di non discostarmi molto dalla ricetta originale ma di presentarla in maniera decisamente più moderna.

Ecco allora che ho abbinato la cipolla rossa simil tropea (invece della tradizionale bianca di Chioggia) con la sarde fritte classiche, polenta bianca e gocce di aceto balsamico, oltre al classico Saor.




Ingredienti per 2 persone:

12 sardine freschissime
1 cipolla rossa simil tropea
200 gr di polenta bianca molle
1 pugno di pinoli
4 cucchiai di aceto balsamico
4 cucchiai di  vino bianco secco
200 gr di farina di riso
300 ml di olio di riso
2 bicchieri di farina per polenta bianca
6 bicchiari di acqua
1 cucchiaino di sale marino grosso
sale fino q.b.

Procedimento
Preparazione delle sardine
Prendere le sardine, tagliare la testa, aprirle e deliscarle avendo cura di lasciare la coda attaccata.
Risciacquatele sotto l'acqua corrente, lasciarle poi sgocciolare bene.
Mettere a scaldare l'olio di riso, tenendone 4 cucchiai da parte. 
Impanare bene le sardine nella farina di riso.
Friggere per 30 secondi per parte o fino a quando saranno ben dorate.
Scolarle bene e metterle da parte.

Preparazione della cipolla
Prendere la cipolla rossa, togliere il primo strato di foglie secche, lasciando le altre.
Tagliarla a metà in orizzontale e metterla a cuocere in una vaporiera.
Quando la cipolla sarà quasi del tutto cotta, toglierla dalla vaporiera, eliminare le foglie più esterne.
Ora prepariamo il Saor rivisitato. Prendere una padella e aggiungere l'olio di riso quando sarà caldo aggiungere la cipolla, attenzione a girarla con cautela per non romperla. Dopo circa 2 minuti aggiungere l'aceto balsamico e il vino bianco, tenere sulla fiamma fino a quando sarà evaporato della metà, rigirando sempre la cipolla.

Preparare la polenta.
In una padella calda mettere il pugno di pinoli e fateli tostare.
Farli raffreddare e tritateli fino ad ottenere una farina.
In una casseruola mettere i 6 bicchieri di acqua con il sale, portarla a bollore incorporando la farina di polenta e la farina di pinoli. Mescolare continuamente fino a quando la polenta sarà pronta.
Io da buona veneta faccio ancora la tradizionale che bolle 40 minuti, ma voi per accorciare i tempi potete prendere quella precotta pronta in 3 minuti.

Ora sarà possibile montare il piatto.

In una fondina, versare circa 100 gr di polenta, dovrete ricoprire il fondo, adagiare al centro del piatto la cipolla, e subito sopra le sardine.

Alcune gocce del saor...voilà...il piatto è pronto tradizionale ma moderno.

Assaporatelo prendendo un po' di polenta, un pezzo di cipolla e mezza sardina...il boccone dei dogi di Venezia.

In vino è d'obbligo per questo piatto.




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21 gennaio 2016

Sweet Rolls al profumo di Sicilia




Per il Calendario del Cibo Italiano di AIFB, questa settimana è dedicata agli agrumi.

Madrina d'eccezione è Aurelia Bartoletti, andate a leggere il suo post molto interessante.

Come già detto dalla mia amica-socia Erica... le arance ci arrivano a cadenza quindicinale da una meravigliosa azienda biologia siciliana e quindi un sabato pomeriggio in cui il tempo è grigio (ultimamente è il colore più gettonato...purtroppo...), e tua figlia ti chiede qualcosa di diverso per la colazione della domenica mattina…cosa fai non la accontenti?! 
Metti che le arance ti sono appena arrivate, non fai degli Orange Sweet Rolls?! 

Ve li consiglio, sono sensazionali. Dimenticavo... creano dipendenza!!!


Ingredienti :
300 gr di farina 00;
200 gr di farina manitoba;
15 gr di lievito di birra fresco;
250 ml di latte tiepido;
100 gr di zucchero;
80 gr di burro fuso;
2 tuorli;
1 arancia;
5 gr di sale.
PER LA FARCITURA:
burro fuso;
scorza di 2 arance;
zucchero semolato



PROCEDIMENTO:
Mettere in una ciotola 125 ml di latte tiepido, il lievito e 4 cucchiai circa di farina in questo modo otterrete una crema che coprirete con uno strato di farina di ½ cm, coprite con della pellicola e lasciate al caldo fino a quando in superficie non si saranno formate delle crepe.
Mettete nella planetaria il composto di cui sopra, lo zucchero, quasi tutta la farina, il restante latte, le uova e la scorza d’arancia grattugiata. Azionate ed impastate fino ad incordamento dell’impasto. Aggiungere poi il burro a filo, il sale e la restante farina. Impastate nuovamente ed incordate nuovamente il tutto.  Prendete l’impasto e lavoratelo sulla spianatoia, formate una palla liscia, rimettetela nella ciotola, copritela e lasciatela lievitare fino al raddoppio.
Prendete l’impasto stendetelo cercando di  formare un rettangolo  a poco meno di 1 cm, spennellate con il burro fuso e cospargete con lo zucchero e la scorza d’arancia grattugiata. A questo punto arrotolate l’impasto su se stesso dalla parte più lunga, avvolgetelo sulla pellicola e mettetelo a riposare in frigo per circa un’oretta. Trascorso il tempo, togliete l’impasto dal frigo e dalla pellicola e tagliatelo a fette di circa 2 cm di spessore che adagerete su una teglia ricoperta di carta forno, premete con il palmo della mano per appiattire le girelle e lasciate lievitare per almeno un’ora. Spennellate ora con latte e miele e cospargete con lo zucchero in granella.
Infornate a 180 ° per circa 12 minuti nella parte centrale del forno.
Sfornate e lasciate raffreddare bene.

Alla prossima, Marianna.

Ricetta tratta dal libro Soffice Soffice di Morena Roana 
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20 gennaio 2016

Carbonara...Very Cool




Oggi si celabra la Giornata Nazionale degli Spaghetti alla Carbonara, ambasciatrice Tamara Cinciripini, leggete qui il suo splendido post.
Seguite ogni giorno i post relativi al Calendario del Cibo italiano AIFB per scoprire ricette, curiosità, storie, della cucina italiana.

Spaghetti alla carbonara, dirvi che è il mio piatto preferito non posso, perchè di piatti preferiti ne ho tanti ma a questo sono molto affezionata.
Mio nonno adorava questo piatto quindi ogni scusa era buona per farli, il bello è che mia nonna non voleva preparare sempre la stessa pietanza, quindi io e lui ci alleavamo e mia nonna cedeva.

Quando ho visto che una delle giornate nazionali sarebbe stata dedicata alla carbonara ho pensato cosa potevo preparare. Sembra una ricetta banale ma non lo è...come fai a rendere tuo un piatto perfetto ?

Ho pensato quindi di restare legata alla ricetta originaria anche perchè diciamocelo di ricetta per la Carbonara una ne esiste al mondo.
Ho preparato uno zabaione al pecorino e utilizzato il bacon croccante.
Per quanto riguarda la pasta ho utilizzato uno spaghetto al farro bio.



Ingredienti per 2 persone
200 gr di spaghetti di farro bio (piatto abbondante)
40 gr di pecorino romano grattuggiato
6 fette di bacon tagliato sottile
4 rossi d'uovo
30 ml di latte (se necessario)




Procedimento
Mettere a bollire una pentola con abbondante acqua, salate
Nel frattempo mettere a cuocere il bacon in una padella senza aggiungere grassi fino a quando sarà bello croccante.
Appena sarà pronto appoggiate le fettine sulla carta assorbente così il grasso si assorbe.
Il grasso lasciato nella padella tenetelo da parte ci servirà per lo zabaione.
Per preparare lo zabaione, mettere i tuorli in una ciotola di acciaio che possa resistere al calore, aggiungere il pecorino e il grasso del bacon. Mescolare con una frusta in modo da amalgamare tutti gli ingredienti. A questo punto se il composto è troppo denso aggiungere un po' di latte. Può anche non essere necessario il latte, dipende dalla grandezza delle uova.
Cuocere lo zabaione a bagnomaria fino a quando il pecorino non si sarà sciolto, la consistenza della crema dovrà essere simile alla consistenza di uno yogurt.
Togliere la ciotola da sopra la pentola altrimenti la cottura continuerà.
Dovete fare particolare attenzione ai tempi se preparate troppo in anticipo lo zabaione si solidificherà troppo.
Per sicurezza tenete da parte un po' di acqua di cottura.
Scolare gli spaghetti al dente, aggiungerli alla ciotola dello zabaione, aggiungere il bacon spezzetato grossolanamente.
Impiattare....e buon appetito.






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18 gennaio 2016

Citrus Upside Down Cake



Per il Calendario del Cibo Italiano di AIFB, questa settimana è dedicata agli agrumi.
Madrina d'eccezione è Aurelia Bartoletti, qui leggete il suo interessantittimo post.

Gli agrumi, soprattutto le arance dominano la stagione invernale quindi le ricette con questi frutti non mancano di sicuro.
Ho la fortuna di aver conosciuto un produttore di arance bio siciliano, quindi da dicembre a marzo ricevo questi spettacolare frutti.
Ma quest'anno ho anche adottato un albero di arance, che per me è un orgoglio.
Mi sono ripromessa quanto prima di andare a visitare l'aranceto per capire di più com'è il lavoro.

La ricetta che vi propongo oggi è una citrus upside down cake, una torta speziata rovesciata alle arance.
Visto che parliamo di un dolce ho pensato di utilizzare una varietà di arance che si chiama vaniglia.
L'arancia Vaniglia Apireno, una tipologia di arance rigorosamente siciliane bio che si adattano moltissimo alla preparazione di dolci e dessert. La sua peculiarità è il gusto delicato e con un retrogusto di vaniglia.


La vaniglia apireno di Ribera, spesso grossolanamente chiamata “arancia vaniglia”, è probabilmente la meno conosciuta tra le varietà dell’arancia bionda, eppure ha origini antiche e proprietà nutrizionali eccellenti.
Si ritiene che l’arancio vaniglia sia stato introdotto in Italia dalle Indie e forse dalla Cina intorno al 1400. In seguito ad incroci susseguitisi nel corso degli anni avrebbe avuto origine nel territorio riberese una nuova varietà, ancora più dolce e priva di semi, chiamata appunto ‘Vaniglia apireno di Ribera’. Si tratta dell’unica varietà di arancia che rientra nella categoria acid less, in quanto il suo contenuto in acidi è compreso tra lo 0,06% e lo 0,15% (le più famose Washington Navel contengono una percentuale di acidi compresa tra lo 0,75 e l’1,3). Benché gli acidi siano una componente estremamente salutare dell’agrume, alcuni consumatori con disturbi gastro-intestinali od epatici potrebbero non trarne particolare giovamento. In aggiunta al ridotto spessore delle pellicole bianche, che ne aumenta notevolmente la tollerabilità, il contenuto particolarmente basso di acidi fa si che la vaniglia apireno di Ribera sia estremamente consigliata a consumatori che non vogliono rinunciare ad un frutto succulento ma intendono rispettare le necessità del proprio organismo.
La coltura dell'arancio in Sicilia è stata introdotta dagli arabi nel X secolo. Successivamente, verso il 1400, marinai Genovesi introdussero la varietà "Vaniglia", importandola dalla Cina e dalle Indie, anche se non vi sono certezze circa l'origine che, probabilmente risulta da incroci spontanei e da riproduzioni agamiche successive avvenute nella zona in cui questa varietà è attualmente diffusa.
La vaniglia apireno di Ribera è un arancio di pezzatura media, con una buccia mediamente papillata con uno spessore medio che la rende facile da rimuovere. Si riconosce dalle altre varietà di arancia bionda in quanto sprovvista di ombelico.
L'arancia Vaniglia appartiene al gruppo di Arance bionde ed è l'unica varietà, esistente al mondo, a bassissima acidità (acid-less 0,06 – 0,15%)  e con lo spessore delle pellicole degli spicchi molto ridotto : è raccomandata, in quanto facilmente tollerabile,  alle  persone affette da disturbi gastrici, intestinali, ed epatici; inoltre,  nonostante sia dolce, l'arancia Vaniglia Apireno contiene una bassissima quantità di zucchero per cui è uno dei pochi frutti consigliati alle persone malate di Diabete.
L'arancia Vaniglia ha un buon valore nutrizionale e contiene acido citrico, vitamine (soprattutto C, ma anche A, B1, B2 e PP) e sali minerali.
La vaniglia apireno di Ribera è una varietà di arancio particolarmente consigliata anche a coloro che si impegnano per educare i più piccoli ad una sana alimentazione: è noto che fattori come una consistenza particolarmente corposa di alcuni frutti o un sapore troppo acido od amaro non favoriscano la buona abitudine di mangiare la frutta alla fine di ogni pasto. La mancanza di semini, spesso giudicati fastidiosi dai consumatori più giovani, la scioglievolezza della sua polpa e la notevole dolcezza rendono la vaniglia apireno di Ribera ideale per il palato dei più piccoli ed esigenti consumatori.
Proprio la dolcezza di questa varietà d’arancio merita un chiarimento: nonostante la dolcezza della vaniglia apireno di Ribera sia superiore a quella di ogni altra varietà di arancia (dalla analisi dei profili sensoriali è emersa chiaramente la prevalenza del flavour della vaniglia), essa possiede un basso contenuto in zuccheri, aspetto che lo rende adatto anche per chi soffre di diabete.
Come tutte le varietà di arancia bionda, anche la vaniglia apireno di Ribera contiene acido citrico, vitamine (soprattutto C, ma anche A, B1, B2 e PP) e sali minerali.
L'arancio Vaniglia, inizia a germogliare nella metà di marzo per poi procedere con l'emissione dei boccioli fiorali nella fine di marzo.
La fioritura dell' arance vaniglia inizia nel mese di aprile e finisce nei primi di maggio. La produzione media della pianta vaniglia va dai 50 ai 70 kg. Il frutto presenta una buona resistenza sulla pianta e la raccolta, effettuata manualmente, avviene tra il mese di Novembre ed il mese di Aprile dell'anno successivo.
In effetti l'arancia Vaniglia Apireno è una cultivar bionda senza ombelico ed ha preso origine da una mutazione gemmaria della Vaniglia con seme, avvenuta nel territorio di Ribera e successivamente diffusasi nell'intero comprensorio con la denominazione di Vaniglia Apireno di Ribera.




 Ingredienti
 45 gr di burro
100 gr di zucchero di canna
15 gr di miele
10 gr di succo di limone
5-6 fette sottili di agrumi (io ho utilizzato le arance vaniglia)
150 gr di farina
150 gr di farina di riso
1 bustina di lievito per dolci
1/2 cucchiaino di sale fino
1/2 cucchiaino di cannella in polvere
1/2 cucchiaino di cardamomo in polvere
4 uova medie
270 gr di zucchero semolato
108 gr di olio extravergine di oliva
60 ml di succo di arance (io ho utilizzato la qualità vaniglia)
60 ml di succo di un agrume (io ho utilizzato il lime)
45 gr di latte intero
10 gr di estratto di vaniglia (o i semi di una bacca di vaniglia)
5 gr di scorza di arance rosse


Procedimento
Accendere il forno a 190°.
Foderare il fondo di una tortiera antiaderente da 26 cm con la carta forno.
In una piccola casseruola, sciogliere il burro a fuoco basso con lo zucchero di canna, il miele e il succo di limone, mescolando fino a che lo zucchero non sarà sciolto. Rimuovere dal fuoco e versare lo sciroppo nella tortiera.
Disporre le fette di agrumi sul fondo della tortiera in uno strato sottile.
A parte, in una ciotola di media grandezza, mescolare insieme la farina, il lievito, il sale, la cannella, il cardamomo, fino che non saranno ben amalgamati. Mettere da parte.
In un'altra ciotola, sbattere con il frullino le uova con lo zucchero somolato e l'olio di oliva, fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo.
Aggiungere il succo d'arancia, il succo di lime, il latte, la vaniglia e la scorza di arancia.
Mescolare fino a che tutto non sarà stato incorporato.
Quindi aggiungere gradualmente la farina all'impasto, mescolando fino a quando non sarà tutto ben amalgamato.
Riempire la tortiera per 3/4 con l'impasto e cuocere per 30-40 minuti o fino a che uno stuzzicadente inserito al centro del dolce non uscirà pulito.




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17 gennaio 2016

Zuppa ritrovata




Il 2016 sarà ufficialmente l’anno Internazionale dei legumi e perciò verranno proposte una serie di attività e progetti utili ad incentivare la conoscenza e il consumo di questi alimenti puntando soprattutto sulle loro proprietà in quanto “semi nutrienti per un futuro sostenibile”, come li ha definiti la stessa FAO.

Un paio di mesi fa entro come al solito nel mio negozio bio preferito e vado verso lo scaffale dei legumi e cereali, avevo voglia di zuppa ma non volevo la solita di ceci o fagioli, non so nemmeno io di cosa avevo voglia, ma quando entro in quel negozio ci sono sempre delle scoperte da fare.

Un cartello recita "Legumi Ritrovati" così scopro, Roveja, Cicerchia, fave, lenticchie, ecc.
Si tratta di specie antiche, ormai sconosciute, sopravvissute nei ricordi di chi da bambino le ha assaggiate nei piatti preparati dalle nonne o di chi da adulto ha consapevolmente deciso di coltivarle per salvaguardare la biodiversità e contribuire alla tutela dell’ambiente.

Scegliendo questi legumi biologici, accomunati dal fatto di avere alle spalle una storia antica, ognuno di noi può scoprire nuovi, ma antichi sapori, e arricchire la sua dieta con nutrienti che fanno bene all’uomo e all’ambiente.

Compro Roveja e Cicerchia.

Arrivata a casa mi metto davanti al pc e scopro un progetto di Slow Food che si chiama Slow Beans, al quale aderiscono diversi produttori di legumi antichi sparsi in tutta Italia.

Mi entusiasmo al progetto e contatto la presidentessa del movimento produttrice del Fagiolo Giàlet della Valbelluna, la contatto e....
...il resto lo troverete prossimamente in un post dedicato alla ricerca che ho fatto e alle notizie che la presidentessa ha voluto condividere con me.

Quindi per mia 1° sfida MTChallenge ho assolutamente voluto preparare una zuppa di Cicerchia e Roveja



Cicerchia:
Chiamata cicercula dai Romani e considerata un legume povero, la Cicerchia è stata, in origine e per lungo tempo, l’alimento che ha permesso ai contadini di sfamarsi quando non avevano a disposizione cibi più ricchi ed elaborati.
Originaria del Medio Oriente e appartenente alla famiglia delle leguminose, nasce da una pianta erbacea annuale simile a quella dei ceci, che si contraddistingue per il fatto di essere molto robusta e di non aver bisogno di particolari trattamenti: si adatta infatti a crescere in condizioni molto difficili, su terreni poveri ed aridi, e resiste anche alle basse temperature.
Abbandonata per secoli, è stata riscoperta con l’obiettivo di tutelare la biodiversità italiana.
Tra i legumi meno utilizzati ma sicuramente da riscoprire c’è la cicerchia, uno dei legumi più antichi le cui coltivazioni in Puglia, in Umbria, nel Lazio, nelle Marche e in Molise, hanno ottenuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano.
Ricordiamo infine la roveja, anch'esso un legume antico, una sorta di pisello con cui si può realizzare una tradizionale zuppa dell’alimentazione povera.



Roveja
Una manciata dalle sfumature colorate, rosse, verde scuro, marroni e grigie: ed ecco a voi la Roveja , figlia di un bellissimo fiore. Appena raccolta, in realtà, la sua colorazione tende solo alle diverse sfumature del verde, per poi diversificarsi con l’ossigenazione.
Progenitrice del pisello comune per alcuni, in realtà ha una classificazione botanica ancora incerta. Nota in Europa fi n dalla preistoria, sembra che anch’essa abbia origini mediorientali. La sua crescita spontanea lungo le scarpate e nei prati l’ha resa protagonista dell’alimentazione di pastori e contadini insieme ad altri legumi poveri come lenticchie, cicerchie, fave, e a cereali, come orzo e farro.
Attualmente poco diffusa, in passato veniva coltivata lungo tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana e in particolare nella zona dei monti Sibillini dove veniva coltivata anche a quote elevate, data la sua resistenza alle basse temperature.




Ingredienti
100 gr di Roveja
100 gr di cicerchia
mezza carota
mezza costa di sedano
mezza cipolla
1,5 lt di acqua
sale, pepe, olio extra vergina di oliva

Procedimento
Per prima cosa mettere in ammollo i legumi in 2 ciotole separate almeno tutta la notte, seguendo le istruzioni riportate sulle confezioni.
Quando i legumi sono stati sufficientemente ammollati, preparare un batturo con sedano, carote e cipolle, mettere in un tegame a bordi alti con un po' di olio extravergine di oliva.
Aggiungere la roveja e l'acqua necessaria, lasciare bollire per 1 ora.
Dopo circa 1 ora aggiungere la Cicerchia, far bollire per circa 1 ora, regolando di sale e pepe.
Per chi lo desidera è possibile aggiungere della pasta.

Quando la zuppa è pronta servirla calda con una spolverata di parmigiano reggiano e un cucchiaio di olio di oliva extravergine di oliva.
E' possibile servire la zuppa aggiungendo dei crostini di pane.





Questa sfida così affascinante è stata proposta da Vittoria Traversa vincitrice della sfida di Novembre
Con questa ricetta partecipo finalmente dopo 1 anno di attesa alla sfida MTChallenge n. 53 di gennaio 2016.








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Cassoeula... vista e rivista da una veneta.




Con questa ricetta partecipo alla Giornata Nazionale della Cassoeula di cui Gianni Senaldi è ambasciatore, la storia e la ricetta le trovate sul sito di AIFB.

No... non avrei mai pensato di cimentarmi in una ricetta lombarda come questa, soprattutto a pochi giorni dalle abbuffate natalizie. Ora dovrebbe essere periodo di zuppe di ogni genere e tipologia, dovrebbe essere un periodo detox... avete capito bene... dovrebbe.

Ho pensato quindi, di alleggerirla, se così si può dire..., cuocendo prima, separatamente tutte le carni per fare in modo che la Cassoeula risulti leggermente più leggera, senza essere del tutto indigeribile.

Come ogni ricetta della tradizione ogni zona ha la sua variante, come per la provincia di Como, dove non si mettono i piedini, dalla Lomellina verso il Varesotto si prepara con la carne d'oca, mente nel pavese si usano solamente le costine.

Qui la ricetta da me provata con alcune verdure del mio orto.



Ingredienti:

1 piccola verza moretta;
cotenna di maiale circa 150 gr;
1 piedino di maiale tagliato a metà;
2 salsicce;
costine di maiale 10 circa;
1 piccola carota;
1 cipolla;
salsa di pomodoro;
sedano qb;
alloro 1 foglia;
sale e pepe qb;
olio evo e burro qb.

Per prima cosa iniziamo a fiammeggiare e pulire per bene il piedino e la cotenna per eliminare ogni residuo di setole. Potete chiedere al vostro macellaio di fiducia di farlo per voi.

Dopo averli lavati, riponeteli in una casseruolacon acqua fredda e qualche odore e fate bollire per almeno un'ora. in questo modo si ammorbidiscono e perdono una parte del loro grasso.

Metteteli da parte e tagliatela cotenna in piccoli pezzetti.

Fare dei piccoli buchetti alle salsicce e rosolatele, senza nessun condimento, su una padella antiaderente. Mettete da parte e pulite il grasso rilasciato e fate la stessa operazione per le costine.

In una grande casseruola, mettete olio e una piccola noce di burro e fate appassire la cipolla, le carote e il sedano. Ora riprendete le salsicce, le costine, la cotenna e il piedino e riponete il tutto all'interno della stessa. Aggiungete del brodo vegetale e la passata di pomodoro, fate cuocere lentamente per almeno 30 minuti.

Lavate la verza, togliete il torsolo centrale e tagliatela a striscioline ed adagiatela sopra le carni.

Coprite e lasciate cuocere per circa un'ora o fino a cottura. Riconoscerete che la vostra cassoeula sarà pronta quando le carni saranno tenere e si staccheranno dalle ossa.

Buon appetito. Marianna.




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16 gennaio 2016

Pasta e Fagioli Bianca




”Se siamo ancora qui questo è dovuto ai fagioli. Senza i fagioli, la popolazione europea non sarebbe raddoppiata in pochi secoli”, così scrive Umberto Eco.
 
E' facile quindi capire come la Pasta e Fagioli sia una ricetta diffusa in tutta Italia con varie differenziazioni da regione a regione.
Ma a cosa è dovuta questa popolarità ?
Ovviamente ai fagioli!
In primo luogo, il fagiolo è ed è sempre stato un legume molto economico.
Va da sè che anticamente, o nei periodi storici meno prosperi, la pasta e fagioli fosse il piatto di ogni giorno: un piatto caldo,  ricco di carboidrati e proteine e pertanto in grado di saziare tutta la famiglia e soprattutto economico.
Pensate che la storia della ricetta della pasta e fagioli affonda le sue radici addirittura duemila anni fa: il grano duro fece la sua comparsa nella cucina italiana addirittura nel primo secolo a.C, mentre il fagiolo, come forse saprete, giunse in Europa assieme ad altri vegetali (come il pomodoro) a seguito della scoperta dell’America (parliamo quindi di Basso Medioevo).
Fu Papa Clemente VII che volle diffondere il “fagiolo americano” in tutta la penisola, incaricando dappprima un sacerdote del bellunese (di qui le fortissime radici venete di questo piatto) di incaricarsi della sua coltivazione; successivamente, il succulento legume, si sarebbe diffuso anche in altre regioni. Di lì, il percorso fu tutto in discesa: il fagiolo si diffuse rapidamente in tutta Europa, trovando fortuna presso la corte toscana dei Dè Medici, oltre confine in Francia e via via in tutto il continente.

Oggi per il Calendario del Cibo Italiano di AIFB si festeggia la Giornata Nazionale della Pasta e Fagioli, o come diciamo noi in veneto "pasta e fasioi".



Ambasciatrice della giornata è Sabrina Tocchio, che ci accompagna in un racconto fantastico di questa ricetta così importante per noi, carica di storia e tradizioni.

La Pasta e Fagioli per noi veneti è una pietra miliare, ogni famiglia ha attinto alla ricetta originale per poi apportare delle modifiche, quindi ogni casa ha la sua ricetta adattata.
Nella mia famiglia le mie nonne avevano due ricette diverse, io ho attinto da entrambe ed ora ho la mia.

Quest'oggi vi propongo una pasta e fagioli bianca, fagioli canellini e dell'occhio bio presi dalla nonna paterna, ricetta tradizionale padovana presa dalla nonna materna.


Due nozioni veloci sui cannellini e i fagioli dell'occhio.
I fagioli conosciuti in Europa fin dall'antichità erano i cosiddetti “fagioli dall'occhio”, originari dell'Africa e dell'Asia. Questi erano i fagioli conosciuti dai Greci e dai Romani (vedi Apicio) che appartengono al genere Dolicos spp. I fagioli che invece consumiamo oggigiorno venivano coltivati in Messico già 7000 anni fa e appartengono alla specie Phaseolus vulgaris. Dopo che Cristoforo Colombo lo scoprì nel suo secondo viaggio a Cuba, gli Spagnoli e i Portoghesi introdussero il fagiolo in Europa nel XVI secolo. Già nei primi anni dei '500 lo troviamo nel Veneto, in Francia e nella Germania sud-occidentale. Gli europei poi lo portarono nell'America del nord. Le specie di fagioli americani sono il fagiolo di Lima e il fagiolo comune. Di quest'ultimo l'uomo ha creato centinaia di varietà. Oggigiorno in certi mercati messicani si possono acquistare fino a 25 varietà diverse di fagioli. Il cosiddetto fagiolo di Lima, originario del Perù fu addomesticato molto più tardi del fagiolo comune.
Fagioli cannellini. Piccoli, bianchi, dalla forma allungata, con buccia sottile, i cannellini hanno una consistenza ed un gusto molto delicati.
Sono ideali sia ridotti in purea per vellutate e creme, sia lessati al naturale. Si accompagnano deliziosamente a crostacei, molluschi o carni bianche, che non ne sovrastano il sapore leggero.

Fagioli dall’occhio. Il nome deriva dall’aspetto: i semi infatti presentano una macchiolina nera attorno al punto in cui attaccano al baccello.
Tra le varietà di fagioli è più leggero e cuoce in minor tempo.



Ho scelto questo tipo di fagioli perchè normalmente la pasta e fagioli non si vede bianca, ma fin da quando ero piccola mia nonna materna mi faceva la minestra con i fagioli dell'occhio così piccoli e simpatici che non facevo storie per mangiarli...mmm adesso che ci penso forse era una strategia per farmi mangiare senza storie....
Comunque sia è ottima.
Per la pasta ho scelto degli spaghetti spezzetati tipici della ricetta della mia famiglia

Ingredienti
200 gr di fagioli cannellini
200 gr di fagioli dell'occhio
50 gr di pancetta
1 cipolla
1 carota
1 costa di sedano
100 gr di pasta (io ho scelto gli spaghetti spezzetati in pezzi)
olio evo
pepe nero
sale

Procedimento

Mettere ad ammollare i fagioli almeno tutta la notte in acqua fredda separatamente.
In una casseruole, preparare un soffritto di cipolla, carote, sedano e pancetta.
Aggiungere i cannelli precedentemente scolati, far soffiggere per pochi secondi ed aggiungere 1,5 litri di acqua, portare il tutto ad ebollizione per circa 40 minuti.
Trascorsi i 40 minuti aggiungere i fagioli dell'occhio.
Portare il tutto nuovamente ad ebollizione per altri 30 minuti.
Regolare di sale e di pepe.
Per i tempi di cottura dei fagioli fate riferimento alle indicazioni riportate sulle confezioni.
Quando i fagioli saranno cotti, prelevarne 4 bei cucchiai e metterli da parte.
Frullare tutto il resto.
Aggiungere i fagioli interi.
Ora ci sono varie scuole di pensiero, chi fa cuocere la pasta direttamente nel brodo di fagioli e chi fa cuocere la pasta molto al dente a parte e poi la unisce al brodo di fagioli e termina la cottura.
Io ho scelta questa seconda opzione.
A parte fate cuocere gli spaghetti spezzettati.
Scolarli molto al dente e far terminare la cottura nel brodo di fagioli.

Terminata la cottura, impiattare aggingendo un cucchiaio di olio di oliva e una grattuggiata di parmigiano reggiano.

Nella nostra zona è tradizione aggiungere dei pezzi di prusciutto crudo e le croste del parmigiano reggiano ben pulite.

Buon appetito.




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12 gennaio 2016

Scones





Ho sempre desiderato preparare gli Scones, chissà poi perchè, forse perchè sono molto english style.
Io adoro la tradizione del thè delle 5, la regina, ecc... direte che sono matta ma che ci posso fare...

Quindi quando ho visto che la prima sfida del 2016 erano di Scones non ho potuto resistere.

Questa è la mia versione un po' italianizzata con il caffè al posto del thè e con una gelatina di arance tarocco aromatizzata alla cannella che ho preparato con le prime arance tarocco che mi sono arrivate dalla sicilia.
Non ho aggiunto la panna non essendo molto amante anche perchè a mio gusto poco si abbinava alla gelatina di arance.
Inutile dire che erano buonissimi.
La dolcezza dell'impasto contrasta benissimo con l'acidità degli agrumi, la cannella rende tutto molto accattivante.

Ma gli Scones non sono ottimi solo con marmellata o creme dolci, provateli nella versione salata, con salmone affumicato, gamberetti, prosciutto e funghi, crema di gorgonzola e noci spezzetate.

Per noi italiani che non abbiamo una grande tradizione per la merenda li possiamo utilizzare per l'apertivo accompagnati da un buon calice di Franciacorta.

Quindi per colazione o aperitivo... Scones...




Per gli scones 12 pz

  85 gr di Burro Freddo
250 gr di Farina
  10 gr di Lievito per Dolci
    2 Cucchiai di Zucchero di canna
  65 ml di Latte
  65 ml di Yogurt Bianco
    1 uovo
 Latte per spennellare


Per la farcitura

Gelatina di arance tarocco q.b.
Cannella in polvere q.b.




Preparazione:

Riscaldate il forno a 220°C. Preparate una teglia rivestita da un foglio di carta forno.
Tagliate il burro freddo a cubetti e metterlo in una ciotola con la farina e il lievito, poi impastate sino ad ottenere un composto bricioloso.
Aggiungete lo zucchero e impastate ancora.
A parte mescolate insieme il latte, lo yogurt e l’uovo, poi versate gli ingredienti liquidi nella ciotola con la farina e il burro, impastando brevemente usando un cucchiaio o una forchetta.
Trasferite l’impasto su un piano da lavoro infarinato e lavoratelo ancora un po’ con le mani unite l’uvetta e impastate fino a ottenere una massa omogenea e liscia, poi stendetelo con il matterello sino ad uno spessore di 2,5 cm.
Tagliate gli scones con un taglia biscotti liscio da 5 cm di diametro e trasferiteli sulla teglia. Spennellate la superficie di ogni scones con il latte, poi infornate e cuocete per 15 minuti, sino a che saranno gonfi e dorati.

Togliete la teglia dal forno e lasciate intiepidire gli scones su una griglia, poi tagliateli a metà e serviteli con gelatina di arance tarocco spolverata alla cannella.



Con questa ricetta partecipo al Contest " Crazy Taste" del Cakes Lab Test & Taste"

http://cakeslab.blogspot.it/




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11 gennaio 2016

Gateau di Patate e formaggi di montagna


Il Calendario del Cibo sta andando alla stra-grande... e bando alle ciance oggi con la mia ricetta partecipo alla Giornata Nazionale del Gattò di Patate, ambasciatrice Maria Di Palma.

Il gateau di patate è un piatto tipico della cucina campana, a base di patate.

Temine francese dato dalla sua origine storica, esso non è altro che una sorta di sformato, consumato anche come piatto unico dato che al suo interno contiene ingredienti vari e molto calorici e risulta, dunque, molto saziante.

Dopo varie riflessioni ho portato questa ricetta partenopea al nord adattandola con prodotti DOP delle mie zone...
Il legame con l'Altipiano di Asiago, quella che "io" definisco la mia montagna, il luogo dove rifugiarsi, dove assaporare i piatti della tradizione, formaggi dalle mille sfumature olfattive, una terra ricca di storia, mi ha portato a provare questa deliziosa ricetta.

Fin da piccola, quando i miei genitori parlavano di montagna, la montagna era Asiago, quindi i miei ricordi vagano su quelle montagne. Vogliamo parlare delle malghe? Le adoro... percorrere quel sentiero sterrato che ti porta ad assaporare formaggi fatti da casari da generazioni, vedere i loro prodotti freschi di giornata. Nel momento in cui entri in una di esse il loro profumo ti invade ed è impossibile, credetemi, non portarne a casa e continuare quella magica sensazione per alcuni giorni, quasi ad essere ancora là, dove l'aria è frizzantina, dove il rumore dei campanacci ti risuona nella testa, dove il senso di pace ti accompagna.... dove la voglia di ritornare risuona costantemente.

INGREDIENTI per uno stampo da 16 cm:

750 gr di patate di Rotzo;
50 gr di burro di malga;
75 gr di formaggio Asiago DOP Stravecchio di malga;
35 gr di tuorlo;
45 gr di albume;
latte q.b.





PER LA FARCITURA:
50 gr di Prosciutto Crudo Veneto Berico-Euganeo (DOP);
180 gr di Asiago Dop dolce.

PER LA FINITURA:
1 tuorlo;
pangrattato.

PROCEDIMENTO:

Lessate le patate in abbondante acqua leggermente salata, sbucciatele e schiacciatele con lo schiacciapatate, aggiungete il burro, il formaggio Asiago Dop stravecchio di malga grattugiato, il tuorlo, l'albume, il prezzemolo, il pepe ed il latte quanto basta per ottenere la giusta consistenza. Assaggiate ed eventualmente aggiustate di sale.
Imburrate uno stampo da 16 di diamentro e cospargete con il pangrattato.
Distribuite una parte di composto sulla base, adagiate l'Asago Dop dolce tagliato a dadini, le fette di prosciutto crudo di Montagnana e ancora qualche dadino di Asiago. Chiudete con altro composto e livellate. A questo punto mettere la rimanenza di impasto in una sac'à poche con una bocchetta rigata e decorate la superficie.
Sbattete leggermente con la forchetta il tuorlo e spennellatelo sulla superficie, spolverizzate con il pangrattato ed infornate a 200° per circa 45 minuti.

Alla prossima... Marianna.


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9 gennaio 2016

Challah profumata all'arancia - Re-cake #10


Anno nuovo Re-cake nuova, eccoci qui si ricomincia l'avventura

Quest'anno si inizia con la Challah, pane tipico ebraico che si mangia durante la Shabbat.
Oggi ho voluto rivisitarlo rendendolo più mediterraneo utilizzando l'arancia tarocco di sicilia bio che una buona amica mi spedisce.
Arance che arrivano direttamente dalla Valle di Erice.


Questo mese mi sono ispirata al Blog di Giulia
http://www.peppersmatter.ifood.it/2016/01/challah-al-miele.html

http://www.re-cake.blogspot.it/


Andiamo ad impastare e buona Re-cake

Ingredienti:
Per una challah di 24 cm di diametro
500 g di farina
10 g di sale
25 g zucchero semolato
9 g di lievito secco attivo
1 uovo grande
40 ml di olio vegetale
40 g miele
60 ml disucco d'aranzia tarocco filtrato
scarza d'arancia grattugiata
2 cucchiai di gelatina di arance diluita in 1 cucchiai di acqua bollente
zucchero di canna per spolverare


Procedimento:
Setacciare la farina nella ciotola, aggiungere il sale e mescolare bene.
Aggiungere il lievito e mescolare ancora fino a quando sarà completamente incorporato.
Aggiungere lo zucchero, la buccia d'arancia, l'uovo, l'olio e il miele e impastare.

Aggiungere gradualmente la spremuta d'arancia fino a quando l'impasto è morbido.

Ungere una ciotola con un po' olio, formare una palla con l'impasto, ungere leggermente anche l'impasto, coprire con pellicola e lasciare lievitare fino al raddoppio, almeno 2 ore ad una temperatura di 28°C.
Rivestire una teglia con carta da forno e ungere i lati.



Mettere al centro della teglia un coppa pasta di 5 cm di diametro.

Dividere l'impasto in 2 parti uguali e stendere ogni parte fino a quando non si raggiunge uno spessore di mezzo cm (o anche meno).

Con un coppa pasta, ricavare dei cerchi di 6 cerchi.

Per fare le rose: utilizzare quattro cerchi di 12 cm e metterli in fila, uno sopra l'altro, affinché ogni cerchio si sovrapponga a quello sotto di esso, a partire dal cerchio in basso, stendere la pasta in un cilindro. Per stringere il cilindro, rotolare delicatamente sulla superficie di lavoro.

Usando un coltello affilato, tagliare il rotolo a metà. Posizionare ogni pezzo, con il lato piatto verso il basso nella teglia, lasciando circa 2-3 cm tra loro.

Ripetere i passaggi precedenti per fare abbastanza Rose per riempire la teglia.



Coprire e lasciare lievitare per almeno 2 ore. Essendo casa mia non troppo calda, ho lasciato lievitare tutta la notte in forno senza luce accesa.
La mattina successiva le rose erano ben lievitate.
Scaldare il forno a 180 °C. Cuocere la challah in forno per 25 minuti fino alla doratura.

Durante la cottura, preparare la glassa: mescolare la gelatina con l'acqua bollente.
Lasciare la challah a raffreddare un po' e poi toglierla dalla teglia usando un coltello affilato.
Lasciare raffreddare completamente su una gratella.
Quando la challah sarà ben fredda spennellare con la glassa all'arancio e spolverare con zucchero di canna.
Avrete quindi il contrasto morbido e croccante.







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